C’è un elefante nella stanza in cui si incontrano gli executive e Chief HR Officer. penserete “Certo, è l’Intelligenza Artificiale!”. No, non è ancora entrata. L’elefante nella stanza è il concetto stesso di talento. Le origini sono incerte, ma ha avuto un grande impatto una ricerca (scientificamente sbagliata…) pubblicata nel 1997 nel libro The war for talent. Sbagliata perché mancava qualsiasi nesso di causalità valida tra risultati aziendali e gestione distintiva dei talenti. Ad oggi, la ricerca non ha riscontrato alcuna validità a questo nesso. Eppure, le organizzazioni sono ossessionate con il Talent Management e chi resta fuori da questo fantomatico pool di risorse spesso sembra essere escluso da ogni prospettiva aziendale.

Ma cosa intendiamo per “talento”? Sì, certo, lo avete sentito un milione di volte… la stoirella del Vangelo di Matteo. Curioso, vero, che proprio uno dei testi più attenti all’eguaglianza sia utilizzato come genesi di un termine strutturalmente discriminatorio… Benvenuti in un tempo in cui le parole non hanno più un significato proprio, ma solo quello assegnato dalla maggioranza di chi le usa. Non c’è nessuna definizione consolidata, ma in genere il talento viene associato alla capacità intellettuale non comune, alla genialità o all’estro vivace. Talvolta, l’accento viene posto sulla messa a frutto del proprio “dono”, sul capitalizzare e valorizzare le qualità e le caratteristiche che non dobbiamo allenare perché naturali. Se dobbiamo dare credito alle voci più critiche, spesso il talento è anche qualcuno che ci assomiglia molto, come dimostrano diverse ricerche sui bias e sull’omofilia.

Ma torniamo su capacità intellettuale non comune, genialità o estro vivace: davvero tutte le persone che rientrano in questi “pool di talenti” possiedono queste caratteristiche? E quali strumenti sono stati utilizzati per l’individuazione o la misurazione del livello di talento? Quali fattori sono stati presi in considerazione? E quali per valorizzare le diversità e permettere alle persone di utilizzare al meglio i propri talenti, intesi nel senso più complessivo di potenziale comportamentale?

In Orgtech siamo convinti che sia utile per le organizzazioni tornare a riflettere sul concetto di potenziale e di scelta.

Il potenziale viene definito come “qualità (o modo) del verbo che rappresenta l’azione in quanto possibile”, mentre l’aggettivo “indica il momento precedente la piena e completa manifestazione o realizzazione (contrapposto ad attuale)”.

La bellezza di queste definizioni risiede nell’incompiutezza della parola, legata al Kairos, al momento contingente. L’energia e la forza del potenziale non si vedranno mai pienamente espresse nella realtà attuale in quanto si parla di qualcosa ad oggi latente, perché le persone vedranno e riconosceranno una qualità solo quando si manifesta pienamente. Fino a quel momento, si può solo intravedere un potenziale.

Inoltre, Gandolfi (Sviluppare il potenziale, 2009) arricchisce e allarga ulteriormente questa definizione rendendola sistemica, in particolare definisce il potenziale umano: “una complessità di risorse, che abbraccia elementi inerenti all’ambito attitudinale, delle disposizioni e dei talenti, quindi l’acquisizione e le competenze apprese. Tali elementi, comprendono le capacità, l’intelligenza nella sua globalità e complessità, il carattere e il temperamento, le personalità e gli interessi, ma anche le motivazioni e i desideri, quindi l’energia nelle sue differenti manifestazioni, nonché elementi riferibili alla struttura fisica, costituzionale e fisiologica “.

Questa definizione porta a una riflessione profonda di quanto le organizzazioni possono implementare per permettere alle persone di esprimere al meglio il proprio potenziale agendo sul contesto di riferimento. Non dobbiamo mettere in classifica i talenti, ma tornare alla parabola dei talenti e mettere a frutto quello che è il valore che le persone portano. Sta a noi trovare le soluzioni organizzative e i contesti che siano maieutici e che consentano alle persone di fiorire.

Una Direzione risorse umane che prende decisioni basate sulle evidenze e non sulle credenze o le mode non ragione in bianco/nero (il talento si ha o non si ha), bensì in ottica di sviluppo: il potenziale si può fare realizzare, si può allenare, si può far emergere e si può coltivare.

Per poter far ciò vi è la necessità di mappare il potenziale, ovvero di avere qualche supporto nel poter intravvedere, comprendere, rendere le persone stesse consapevoli di quali aspetti siano più efficaci e orientati rispetto al ruolo, alla cultura aziendale, all’ambiente di lavoro.

IL COACHING: IL POTENZIALE APPLICATO ALLA REALTÀ

Una volta riconosciuti i propri talenti e individuati quelli potenziali, si cerca di manifestarli nel modo migliore, a seconda del contesto. Ed è qui che entra in gioco il coaching: il potenziale applicato alla realtà! Il coaching offre strumenti e tecniche per accompagnare le persone nel loro percorso di crescita personale e professionale. Esso si basa sulla consapevolezza che ogni individuo possiede un potenziale unico, che può essere sviluppato e valorizzato attraverso un processo di auto-scoperta e riflessione guidata. Un processo che porta ad esplorare l’ambiente in cui si opera in maniera creativa, esercitando il pensiero laterale e facendo emergere nuove possibilità e connessioni, spesso trascurate dal pensiero logico e lineare (pensiero verticale).

Questo processo permette al coachee di mettere in campo, in senso prima metaforico e poi reale, alcune risorse. Seguendo le definizioni date all’inizio di questo scritto, le risorse (conosciute, consapevoli, dimenticate e inconsapevoli) non sono soltanto i talenti ma sono anche una razionalizzazione di quello che la persona potrebbe mettere in atto basandosi su contesti ideali, ovvero il disegno del proprio più ampio potenziale. Pertanto, si può dichiarare che il coaching è un percorso di accompagnamento che permette alla persona di nominare, spiegare, razionalizzare e sperimentare il proprio potenziale. Questo può essere supportato anche da alcuni work-in e work-out di confronto con alcuni attori del contesto di riferimento e include la definizione di obiettivi specifici, la pianificazione di azioni concrete e il monitoraggio dei progressi. Il coaching offre anche strumenti per la gestione delle emozioni e per mantenere alta la motivazione.

Questo processo, supportato dall’utilizzo di test a favore dell’emersione del potenziale (come l’Hogan che è quello scelto da Orgtech) abilita maggiormente una forte consapevolezza nel coachee che riesce a percepire come agisce nelle situazioni, cosa è disfunzionale ai propri obiettivi e quali sono gli strumenti che potrebbe attivare o utilizzare diversamente. Il coaching non si limita però a focalizzare i talenti e far emergere il potenziale, ma è anche uno strumento potente nell’adattare queste risorse rispetto al contesto lavorativo al fine di aumentare il senso di autoefficacia della persona.

PERCHÉ LE ORGANIZZAZIONI DOVREBBERO INVESTIRE NELLO SVILUPPO DEL POTENZIALE DELLE PERSONE?

Le ragioni per cui le organizzazioni dovrebbero investire nello sviluppo del potenziale possono essere diverse e suddivise in due macrocategorie: benefici per le persone e benefici per l’organizzazione stessa.

Benefici per le persone:

  • Sensazione di autoefficacia: la presenza di autoefficacia non è sintomatico di buona performance, ma l’assenza è correlata a un non raggiungimento degli obiettivi
  • Crescita professionale: Lo sviluppo del potenziale consente ai dipendenti di avanzare nelle loro carriere, acquisendo nuove competenze e responsabilità.
  • Maggiore motivazione e soddisfazione: Sentirsi supportati nello sviluppo delle proprie capacità aumenta la motivazione e la soddisfazione lavorativa, portando a un ambiente di lavoro più positivo.

Benefici per l’organizzazione:

  • Aumento della produttività: Persone più competenti e motivate sono in grado di lavorare in modo più efficiente e con maggiore qualità, aumentando così la produttività complessiva dell’organizzazione.
  • Innovazione e creatività: Sviluppare il potenziale delle persone incoraggia l’innovazione e la creatività. Le persone che si sentono valorizzate sono più propense a proporre nuove idee e soluzioni.
  • Migliore adattabilità ai cambiamenti: In un mondo in continua evoluzione, avere personale con competenze aggiornate e una mentalità aperta ai cambiamenti è cruciale per mantenere la competitività sul mercato.
  • Impatti sul turnover: Investire nello sviluppo delle persone aumenta la loro soddisfazione e fedeltà, riducendo così i costi associati al turnover e alla formazione di nuovi assunti.
  • Reputazione aziendale: Le organizzazioni che investono nello sviluppo dei propri dipendenti sono percepite positivamente sia all’interno che all’esterno, migliorando la reputazione aziendale e attirando talenti migliori.

CONCLUSIONI

Il talento e il potenziale sono due concetti strettamente legati, ma distinti. Il talento è una capacità innata o sviluppata di cui la persona è consapevole (o è resa consapevole in un’ottica di solito statica), mentre il potenziale rappresenta ciò che ancora non è stato portato a consapevolezza ma che è possibile raggiungere. Identificare e sviluppare il proprio potenziale richiede consapevolezza, riflessione e azione. Il coaching offre un supporto prezioso in questo processo, aiutando le persone a riconoscere e a valorizzare i propri talenti, a sviluppare il loro potenziale e ad adattarsi efficacemente al contesto lavorativo.

Lo sviluppo del potenziale delle persone all’interno delle organizzazioni è una strategia win-win che porta benefici a tutti i livelli, favorendo un ambiente di lavoro dinamico, produttivo e soddisfacente.

Siete pronti a fare il prossimo passo e sviluppare il potenziale delle “vostre” persone? Sentiamoci, scriveteci all’indirizzo ask@orgtech.it